LA SCUOLA DALMATA DEI SS. GIORGIO E TRIFONE
Origini e riconoscimenti
Il Consiglio dei X
accordò quanto richiesto e consentì, con documento del 19 maggio 1451, la
regolare nascita della Scuola, denominata "Schola di S. Zorzi della Nation
Dalmatina", di cui in seguito avrebbe approvato lo statuto. All' inizio
del documento si legge: " Intesa la devota et umile supplicatione de
alcuni marinari dalmati abitatori de questa benedetta città di Venezia, li
quali per pietade mossi cognossendo e vedendo infinita novitade de homeni della
sua Nation, li quali nelle Armade del nostro Dominio percossi ad mortem over
debilitadi, li quali per necessità periro,…".
La supplica rivolta dai Dalmati
per ottenere l'assenso pone in rilievo le difficili condizioni in cui venivano
a trovarsi a Venezia i marinai, i soldati, gli emigrati dalmati, lontani dalle
loro case, privi di assistenza e bisognosi di appoggio; molti di essi, per il
servizio sotto il vessillo della Signoria, erano soggetti a morire per le
ferite, o a rimanere invalidi senza sussidi o aiuti e, se prigionieri o colpiti
da fame e miseria nessuno li sosteneva, e morendo non potevano avere un degno
funerale, ma venivano esposti sotto un portico come gli sconosciuti e i
forestieri estranei.
La Mariegola
La Mariegola è il documento
principale di ogni Scuola o Confraternita. Essa contiene le norme principali,
gli scopi e la ragion stessa di essere di ogni Scuola; la parola deriva
dall'allocuzione latina "mater regula", cioè regola madre.
La Mariegola esistente nella
scuola Dalmata è un codice in pergamena scritto e miniato poco tempo dopo la
fondazione, alla metà del XV secolo, e contiene l'atto di fondazione, lo
Statuto, le norme per l'iscrizione dei confratelli, le regole di comportamento
e per il culto dei Santi protettori, gli obblighi per le pratiche religiose,
per l'assistenza ai bisognosi e per il suffragio dei defunti. Il prologo, nelle
pagine iniziali, così termina: "fo comenzada questa benedetta Scuola
correndo li anni del Signor MCCCCLI – Adì XVIIII mazo – in questa benedetta
Giexia de missier san Zuane del Tempio".
La scrittura, iniziata verso il
1455, continua per quasi quattro secoli, con aggiunte e completamenti, gli
ultimi dei quali datati ai primi decenni del XIX secolo. Nel corso del tempo il
prezioso volume ha subito dei restauri nella legatura, mentre le pagine,
conservate perfettamente, presentano nitide scritture, inizialmente gotiche, e
miniature dai vividi colori, artisticamente eseguite; la legatura risulta
aggiustata nel XVIII secolo, particolarmente le copertine, rivestite di velluto
cremisi, ma con gli angoli, le chiusure, le borchie ornamentali in argento
fuso, sbalzato e traforato, conservati dal XV secolo; le borchie centrali, al
recto e al verso, rappresentano
Storia della Scuola
La lunga storia della Scuola
Dalmata si dipana lungo oltre 5 secoli e mezzo, testimoniata dai principali
documenti che descrivono gli avvenimenti in cui la Scuola ebbe parte, e gli
eventi in cui i confratelli vennero coinvolti.
Pochi giorni dopo il decreto del
Consiglio dei X che approva la costituzione della Scuola stessa, il 30 maggio
1451, fu stilato l'accordo con il Priore Lorenzo Marcello dell'Ordine dei
Cavalieri Gerosolimitani, con cui alla confraternita venivano concessi alcuni
locali nell'adiacente ospizio di S. Caterina, accanto alla loro sede, veniva
permesso di erigere un altare nella chiesa di S. Giovanni del Tempio, e di
inumare i propri defunti in apposite arche.
L'ospizio di S. Caterina era
sorto nel XIV secolo, aggiungendosi ai fabbricati del convento di S. Giovanni
del Tempio; questo nome, che ancora oggi si può leggere su un architrave in
pietra della facciata dell'oratorio di S. Giorgio, cioè della Scuola Dalmata,
sovrastante un finestrone un tempo della estinta scuola di S. Giovanni, deriva
dall'ordine dei Cavalieri Templari, soppresso nel 1312, ed i cui beni anche a
Venezia furono assegnati all'ordine dei Gerosolimitani, oggi chiamati Cavalieri
di Malta.
Nel 1464 il cardinale Bessarione,
vescovo, patriarca di Costantinopoli e legato del papa a Venezia, sostenitore
della difesa del mondo cristiano dall'incombente pericolo turco, concesse il
primo privilegio religioso alla Scuola, con un'indulgenza, legata ad alcune
pratiche religiose, di 100 giorni, il cui documento originale miniato su
pergamena è conservato in archivio. L'attenzione del Bessarione per la Scuola
Dalmata era legata all'importanza dei territori della Dalmazia, ormai a ridosso
dell'espansione ottomana, particolarmente a sud, da Antivari alle Bocche di
Cattaro, e investita già dalle prime scorrerie dei Turchi.
Nel 1481 un'altra indulgenza
viene concessa alla scuola dal papa Sisto IV, in riconoscimento dell’importante
contributo dato dalla Scuola Dalmata (Guardian Grande Della Torre) alla
resistenza vittoriosa dei Cavalieri Gerosolimitani, detti allora di Rodi,
contro i Turchi, che nel 1480 avevano posto un grandioso assedio all'isola.
Nel 1502, a seguito della perdita
della piazzaforte veneziana di Corone in Grecia, il comandante Paolo
Vallaresso, la cui famiglia già era in parte legata alla Dalmazia, per
incarichi religiosi e amministrativi, tornando in patria portò con se una
reliquia di S. Giorgio, già appartenuta al Patriarca di Gerusalemme, e la donò
alla Scuola Dalmata, da cui fu posto sull'altare, dove ancor oggi si trova. Con
tale arricchimento della reliquia del suo santo patrono, sottratta a territori
invasi dagli infedeli, la Scuola aumentò in prestigio e notorietà.
Tra il 1502 e il 1511 Vittore
Carpaccio dipinge i teleri con le storie dei Santi Patroni della Scuola
Dalmata: tre teleri con il ciclo di S. Giorgio, uno con S. Trifone, e tre con
il ciclo di S. Girolamo, e altre due tele che raffigurano episodi tratti dai Vangeli,
l'orazione nell'orto degli ulivi e la chiamata di S. Matteo. In questo periodo,
e per i due secoli successivi, densi di avvenimenti per la Scuola, nel campo
spirituale, in quello artistico e dell'affermazione sociale, fa da sfondo per
la vita della confraternita, come del resto per l'intera Repubblica e per i
suoi territori, la minaccia continua dell'impero Ottomano, con attacchi
ricorrenti alternati a periodi di pace incerta. E' utile a questo proposito
ricordare alcune date salienti dell'avanzata turca, dal medioevo al XVII
secolo: 1389, battaglia di Kosovo Polje, con l'annientamento dell'esercito
cristiano serbo; 1453, caduta di Costantinopoli e fine dell'Impero Romano
d'Oriente; 1463, invasione e fine del regno di Bosnia; 1470, caduta di Scutari,
importante possedimento veneziano; 1480, vittoria cristiana con il fallimento
dell'assedio turco a Rodi; 1522, resa e abbandono di Rodi da parte dei
Cavalieri Gerosolimitani; 1526, primo assedio di Vienna, respinto dall'esercito
imperiale; 1571, attacchi turchi in Dalmazia, con eroica e vittoriosa difesa di
Curzola da parte della popolazione, e capitolazione e perdita definitiva
dell'importante città dalmata di Antivari, 8ottobre 1571, battaglia navale di
Lepanto, con la grandiosa vittoria della Santa lega, e partecipazione di galee
ed equipaggi dalmati nell'armata veneziana; 1667, perdita veneziana dell'isola
di Candia (Creta) dopo quasi 25 anni di guerra e di assedio da parte dei
Turchi, sconfitti però ripetutamente in Dalmazia.
Nella Scuola, l'anno 1551, si
completa il rifacimento dell'esterno del fabbricato in stile rinascimentale, i
cui muri vengono rifatti quasi dalle fondamenta, e la facciata viene
interamente ricoperta in pietra bianca d'Istria; il bassorilievo del S. Giorgio
a cavallo viene eseguito dallo scultore Pietro da Salò.
Tra il 1586 e il 1604 viene
completata la sala superiore, con il lavoro di Zuanne de Bastian per il
soffitto decorato e l'incarico ad Andrea Vicentino per le tele del soffitto.
Nel 1640 il papa Urbano VIII
concede una ulteriore indulgenza ai confratelli della Scuola, questa volta
plenaria.
Nel XVII secolo la vita della
Scuola continua, con arricchimento di opere d'arte e di arredi, e con la
partecipazione dei confratelli alla vita della città, nel lavoro, nella vita
civile, e non da ultimo, nelle armate di Venezia ai continui combattimenti e
scaramucce con gli eserciti turchi, che proseguono fino ai primi decenni del
secolo successivo, sia per terra sia per mare, in Dalmazia e nello stato da
mar.
Alla fine del XVIII secolo la bufera
della rivoluzione e dell'invasione napoleonica non risparmiano la Serenissima.
Pochi anni dopo, con il secondo governo francese, in base all'ideologia
rivoluzionaria, ordini religiosi, chiese, confraternite vengono soppressi. La
Scuola Dalmata, con una richiesta al governatore francese, Eugenio
Bonaparte,dovuta ad abile e tempestiva azione dei suoi dirigenti,riesce ad
evitare la cancellazione e l'avocazione dei beni e rimane indenne, unica fra le
Scuole piccole di Venezia.
Nel 1839, in periodo austriaco,
vengono annessi alla Scuola Dalmata gli ambienti occupati per secoli dalla
Scuola di S. Giovanni Battista, che si era estinta pochi anni prima.
In questa prima metà del XIX
secolo, caratterizzata dalle ripercussioni economiche negative dei cambiamenti
di regime, a cominciare dalla fine della Repubblica e dallo smantellamento
delle antiche strutture, la decadenza economica si abbatté lungamente sulle
classi popolari; a questa situazione sociale, alla soppressione degli ordini
religiosi e alle sue conseguenze, al dimezzamento delle parrocchie, la chiesa
veneziana volle reagire suscitando nuove energie: sorsero così le comunità
canossiane, scuole ed asili infantili, fu aperta l'importante istituto dei
fratelli sacerdoti Cavanis; una giovane, di origine dalmata, Anna Maria
Marovich, figlia del Guardian Grande della Scuola Giuseppe Marovich,
beatificata dalla chiesa nel secolo successivo, con l'aiuto dell'abate Daniele
Canal, diede vita all'istituto Canal-Marovich, per il rifugio e l'educazione
delle povere giovani sviate.
La rivolta veneziana del 1848
vide la partecipazione della comunità dalmata al governo ed alla difesa di
Venezia contro la dominazione austriaca e contro l'assedio alla città, comunità
che ravvisò in questa lotta, come tutto il popolo veneziano, non una
rivoluzione liberale anticristiana, ma un tentativo di restaurazione
dell'antica indipendente repubblica di S. Marco. Nicolò Tommaseo, che in quel
periodo frequentava l'oratorio della Scuola, era ministro del governo Manin;
alcuni confratelli furono tra gli organizzatori della legione Istriano-Dalmata,
come don Luca Lazaneo, l'Antunovich, il Naratovich, il cap. Antonio
Billanovich, ufficiale del Corpo e della Direzione d'artiglieria, comandante di
una batteria veneziana sul ponte ferroviario, che fu poi tra i preposti della
Scuola Dalmata.
Dopo l'annessione di Venezia
all'Italia nel 1866, la Scuola continuò la sua vita di sempre; vi fu peraltro
la situazione particolare per cui, parte dei confratelli, di più antico
insediamento veneziano divennero, come tutti i veneziani, cittadini italiani,
mentre un'altra parte, che aveva conservato proprietà e interessi nella terra
d'origine, mantenne per un certo periodo la cittadinanza austriaca.
Sul finire del XIX secolo iniziò
un nuovo capitolo nella vita della Scuola Dalmata, quello dei visitatori. Si
deve principalmente a John Ruskin, il grande viaggiatore ed esperto d'arte,
autore de "Le pietre di Venezia" (1883) la scoperta della Scuola
"degli Schiavoni", come era chiamata popolarmente, e del fascino dell'arte
del Carpaccio; egli comunicò il suo entusiasmo a quei visitatori della città
lagunare, specie dell'area culturale anglosassone, che ricercavano la bellezza
dei luoghi più autentici di Venezia: Questi viaggiatori romantici dell'800,
attratti dalla cultura, suggestionati dal Ruskin e dall'atmosfera tra il
mistico e il fiabesco della Scuola degli Schiavoni, erano forse molto lontani
dall'odierno turismo di massa; ma. come loro, anche i moderni turisti, pur in
gruppi folti e frettolosi, non rimangono indifferenti, ed apprezzano
istintivamente l'arte e l'aura di questo ambiente fuori dal tempo.
All'inizio del XX secolo viene
riaffermato, all'interno degli organi di governo della Confraternita, il
principio del mantenimento dell'indipendenza della Scuola, in concomitanza con
il raggiungimento della piena proprietà del fondo e dell'edificio stesso, che
avvenne con il decreto di affrancazione, ottenuto in base alla legge del 1880
per l'affrancazione dei canoni enfiteutici, censi, livelli al demanio e ad altri
enti dello stato; la Scuola infatti aveva il possesso della sua sede dal 1451,
a titolo di enfiteusi, concessa dai proprietari dell'ospedale di S. Caterina, i
Cavalieri Gerosolimitani, e per oltre 4 secoli ne aveva usufruito indisturbata.
Con i tempi nuovi e la regolamentazione per legge di ogni rapporto tra enti
privati, religiosi e pubblici, da parte dello stato, e considerato che la
proprietà degli immobili era da tempo passata dai Cavalieri di Malta al
Demanio, si rese necessario arrivare ad una definizione sicura e stabile della
proprietà.
Con la prima guerra mondiale, i
rischi per la Scuola divennero reali, come per tutta la città; Venezia,
infatti, si trovò nel 1917 quasi a ridosso del fronte, e poi fu soggetta, poco
per fortuna, a bombardamenti aerei. Le principali opere d'arte, i dipinti del
Carpaccio erano comunque stati prelevati, su interessamento della Regia
Soprintendenza alle Opere d'Arte, riposti in casse con i sigilli del Guardian
Grande, mons. Pietro Stratimirovich Jovich, del cancelliere conte Dudan e del
tesoriere Antonio Tomich.
Durante un bombardamento che colpì alcuni
edifici vicini, vi furono dei danni seri sul tetto, con conseguenti
infiltrazioni d'acqua da pioggia. Solo qualche anno dopo si riuscì, con
contributo dello stato, a riparare la copertura, il che pose al sicuro le opere
d'arte.
Dopo la grande guerra, una parte
della Dalmazia, Zara con un piccolo entroterra, e le isole di Lagosta, Cherso,
Lussino e altre minori, fu annessa all'Italia.Anche questo nuovo cambiamento
della situazione nelle terre d'origine dei confratelli non determinò
particolari cambiamenti nella normale vita della confraternita dei Dalmati.
Si presentò invece la necessità
di definire il nuovo status della Scuola Dalmata, a seguito dei rapporti mutati
fra Stato e chiesa con i Patti Lateranensi. Dopo qualche anno di dibattito, con
gli enti dello Stato e la Curia Patriarcale quali interlocutori, evitando anche
la possibilità di ingerenze dello stato, piuttosto invadente a quell'epoca, nel
controllo di enti associativi e benefici come il nostro, la Scuola Dalmata fu
riconosciuta quale ente religioso autonomo con scopo prevalente di beneficenza
e di culto, e rimase con tale personalità giuridica formalmente dipendente
dall'autorità ecclesiastica per quanto concerne il funzionamento.
Qualche anno prima della II
guerra mondiale furono iniziati vari lavori di restauro nella chiesa, al piano
superiore ed in quello inferiore, ma tutto fu interrotto per difficoltà
economiche e per l'inizio della guerra, nel 1940. Per disposizione dello Stato,
le principali opere d'arte, tra cui i teleri carpacceschi, furono nuovamente
trasportate in luogo sicuro, imballate in casse alla presenza dei preposti
della Scuola.
Finite le ostilità, la
Soprintendenza alle Belle Arti procedette ad un restauro completo di tutti i
dipinti del Carpaccio, secondo quanto programmato già prima della guerra. Nel
1947 i quadri tornarono al loro posto, e la vita della Scuola riprese. In quel
periodo si verificarono peraltro alcuni cambiamenti, a causa degli
sconvolgimenti accaduti a seguito della guerra; la parte di Dalmazia prima
facente parte del territorio italiano era stata occupata dalle truppe della
Yugoslavia comunista, insieme all'Istria, e poi ceduta con il trattato di pace
allo stato yugoslavo. Ciò determinò un esodo verso l'Italia di parte della
popolazione dalmata, della quale molte famiglie trovarono rifugio a Venezia;
queste, trovando nella Scuola Dalmata un centro di aggregazione sociale e
religiosa, furono accolte in essa come confratelli e consorelle. Si rafforzò
così la comunità, aggiungendosi alle famiglie che appartenevano alla Scuola fin
dai tempi dell'Austria, e per alcune anche della Serenissima, questi nuovi
conterranei di più recente insediamento, in questa Venezia che sentivano come madrepatria.
Nel 1948 si ebbero due importanti celebrazioni religiose: in aprile per
commemorare Nicolò Tommaseo, nel centenario della breve indipendenza veneziana
del 1848, e il 12 settembre una Santa Messa celebrata dall'arcivescovo Doimo
Munzani, ultimo presule dalmata-italiano di Zara, anch'egli esule in Italia, in
quel giorno a Venezia con i suoi fedeli Dalmati che gremivano la chiesa.
Ripresero, con il dopoguerra, le
visite dei turisti e degli appassionati d'arte. Grazie al restauro dei teleri
di Vittore Carpaccio, che li aveva riportati al loro splendore originario, ed
alla importante mostra del 1963 in cui furono esposti in palazzo Ducale,
l'interesse per questo pittore, a mezzo fra la pittura mediovale e quella
rinascimentale, aumentò e di riflesso iniziò un costante incremento delle
visite.
Nel 1952 si era celebrato il 500°
anniversario della fondazione della Scuola, con festeggiamenti che si
conclusero con una Messa solenne officiata da sua eminenza Carlo Agostini,
Patriarca di Venezia e Primate di Dalmazia, con il coro della Schola Cantorum
di S.Marco.
L'alluvione del 1966 che colpì
parte d'Italia, e in particolare Venezia, provocò danni gravi anche alla Scuola
Dalmata. Furono danneggiati infissi, arredi della chiesa, e le stesse murature
che si impregnarono di salsedine, ma le opere d'arte fortunatamente rimasero
indenni. Negli anni successivi, con un contributo del Fondo Italiano per
Venezia e con fondi propri si riuscì a porre rimedio ai guasti, restaurando
parte delle murature, i pavimenti, rifacendo l'impianto elettrico ed alcuni
mobili della sacrestia.
Nel 1975 si tenne la
commemorazione del Tommaseo nel centenario della morte, organizzata con vari
sodalizi veneziani. Nello stesso anno pervenne alla Scuola la donazione della
proprietà Ivanovich, consistente nel palazzetto di famiglia con giardino e
corte e in un'altra piccola abitazione confinante: la donatrice, contessa
Margherita Ivanovich, era l'ultima rappresentante della nobile famiglia dalmata
Ivanovich, proveniente da Dobrota, nelle Bocche di Cattaro, i cui antenati
avevano fatto parte della Scuola fin dal XVIII secolo, ed avevano dimora da
allora nel palazzetto in fondamenta dei Furlani, a pochi metri dalla Scuola. Il
cap. Luca Ivanovich fu Guardian Grande negli anni 1746, 1751 e 1758; i suoi
figli Marco e Giuseppe furono insigniti del titolo di cavaliere di S. Marco per
azioni di guerra vittoriose contro pirati barbareschi, combattendo con i pochi
cannoni dei loro velieri commerciali; altri della famiglia furono alla
direzione della Scuola nel XIX e XX secolo. L'accordo per la donazione consentì
all'anziana contessa, che era rimasta sola della sua famiglia, di avere un
aiuto da parte della confraternita e un appoggio per l'amministrazione della
sua proprietà immobiliare, poco redditizia e bisognosa di restauro, ed alla
Scuola Dalmata di poter programmare in un futuro, che si sarebbe presentato
dopo la dipartita della Ivanovich, la sistemazione della biblioteca, che si
arricchiva progressivamente con lasciti e acquisti, e dell'archivio – museo
della Dalmazia, secondo le intuizioni e il desiderio della stessa proprietaria.
La Scuola Dalmata, per disporre dei fondi necessari alla estinzione dei debiti
gravanti sulla proprietà Ivanovich ed ai primi interventi di restauro degli
immobili, in condizioni ormai precarie, dovette vendere un fondo agricolo
posseduto già da parecchi secoli, che consentiva peraltro in quegli anni un
reddito modestissimo. Sistemati questi immobili, si poté iniziare a riordinare
i libri, i documenti, le cartografie, le stampe, antichi e moderni; un
patrimonio culturale che aumentava man mano che pervenivano lasciti e
donazioni. Da varie famiglie illustri collegate alla Scuola infatti pervennero
in quegli anni consistenti fondi librari e documentari, e alcuni cimeli, basti ricordare
tra le molte donazioni quelle dei conti Dudan del 1962, dei conti Alberti di
Spalato del 1971, del prof.Cronia, della famiglia Walach, delle professoresse
Cortesi e Treveri, del dr Nerino Rispondo.
Alla morte di Margherita
Ivanovich nel 1979 si estinse la casata degli Ivanovich in Venezia, e la Scuola
poté intraprendere e concludere gli importanti lavori di restauro e così , con
lungo impegno e pazienza, il palazzetto divenne la biblioteca della Scuola
Dalmata e l'Archivio Museo della Dalmazia.
Nel 1985, in occasione della
visita a Venezia del Pontefice Giovanni Paolo II nel giorno del Corpus Domini,
la Scuola, al pari delle altre Scuole veneziane (e di molti ordini,
associazioni religiose e fedeli) partecipò alla cerimonia, con un gruppo di
confratelli indossanti le cappe, indumenti che in antico caratterizzavano
numerose confraternite nei frequenti riti e cerimonie religiose. Per la Scuola
Dalmata come per altre erano andati in disuso, forse per una generalizzata
mentalità moderna, diffusasi nel XIX e XX secolo, che tendeva ad annullare
molti simboli della tradizione, specialmente quelli religiosi, ma nella Scuola,
proprio per quell'occasione, emerse la volontà di ripristinare cappe ed
insegne, con l'emblema del S. Giorgio, sullo stemma ufficiale della Scuola. Da
allora si riaffermò l'uso di utilizzare le cappe quale importante segno
distintivo in tutte le cerimonie che lo richiedevano, come tempo dopo, nel
1989, fu per il Convegno Nazionale delle Confraternite a Roma, a cui
parteciparono, provenienti da Venezia, la Scuola Dalmata con una delegazione di
6 confratelli e la Scuola Grande di S. Rocco.
Negli ultimi anni, da allora, la
Scuola ha continuato e continua la sua vita di sempre, nel suo campo religioso
e di assistenza, spirituale e materiale, e in quello culturale, ampliando anche
le attività con la stampa di una rivista periodica e di pubblicazioni su arte,
spiritualità e storia della Dalmazia nell'ambito della civiltà veneta, e
promovendo e attuando i restauri delle opere d'arte e della sua stessa sede
monumentale.
Lo Statuto
Lo statuto vigente della Scuola
Dalmata deriva da quello originario trascritto nelle prime pagine della
Mariegola in 53 capitoli scritti nel 1455.Col passar del tempo cambiarono le
esigenze e le necessità a cui doveva sovvenire la Scuola, come pure le usanze
ed il modo di esprimersi, anche se lo spirito e la volontà di bene operare
rimasero identici, così come erano all'epoca della fondazione. Si rese pertanto
necessario aggiornare lo statuto nei secoli successivi con integrazioni e
modifiche. L'ultima versione, ora vigente, fu approvata dal Capitolo e
ratificata dall'Ordinario diocesano, il Patriarca card. Giovanni Urbani nel
1959. Essa si compone di 28 articoli, suddivisi in 6 capi; all'art.1, che
riportiamo, sono elencati gli scopi per cui nacque la confraternita: "La
Scuola fu fondata al nobilissimo scopo di tenere uniti in vincoli di cristiana
carità i Dalmati residenti in Venezia. In particolare La Scuola si prefigge:
a) di soccorrere i Dalmati poveri,
specialmente nelle strettezze provocate da malattia e vecchiaia;
b) di suffragare le anime dei
Confratelli defunti;
c) di compiere in una chiesa propria
le pratiche religiose e di onorare nel miglior modo possibile i Santi
Protettori.
d) di curare la mutua assistenza fra i
Confratelli e di riunirli in famigliari convegni, specie in solenni
circostanze, per conservare ed aumentare l'unione fra i Dalmati;
e) di curare la conservazione e la
manutenzione degli insigni monumenti d'arte esistenti nella Scuola, tramandati
dai Dalmati attraverso i secoli."
Nel capo II sono elencati i
benefici spirituali che in vita e in morte hanno le consorelle ed i
confratello, consistenti principalmente in indulgenze ed in messe di suffragio.
Ai capi III, IV, V, e VI vengono
ordinate le strutture e l'organizzazione della Scuola, vengono indicati gli
organi, quali il Convocato, il Consiglio di Cancelleria, le singole cariche ed
i loro rispettivi compiti; di queste ultime le principali sono: il Guardian
Grande, capo supremo della Scuola, che la rappresenta in qualsiasi rapporto
verso terzi, e nelle più solenni occasioni, e la amministra assieme al
Consiglio di Cancelleria; il Vicario, che sostituisce il Guardian Grande in
tutte le attribuzioni in caso suo impedimento o assenza; il Tesoriere, che
riceve i valori per la Scuola, controlla le entrate, i pagamenti, ed è custode
della parte economica; il Cancelliere, che custodisce gli archivi, e cura la
parte burocratica delle attività, concorre nell'amministrazione e
nell'organizzazione pratica della vita della Scuola; il Cappellano.
I Confratelli, consistenza attuale e nel passato
Attualmente il numero degli
iscritti assomma a poco meno di 300; vengono anche annoverati come confratelli
onorari Sua Eminenza il Patriarca card. Angelo Scola, che per antico diritto
della cattedra patriarcale ha anche il titolo di Primate di Dalmazia, e Sua
Eminenza il Patriarca emerito card. Marco Cè; inoltre Sua eccellenza Mons.
Eugenio Ravignani Vescovo di Trieste.
Agli albori della Scuola Dalmata
il numero degli aderenti doveva superare i duecento, se tanti erano i presenti
alla prima riunione del marzo 1451, ove si decise di impetrare a Venezia il
diritto di unirsi in una Scuola. Da allora il numero degli iscritti non variò
di molto, riflettendo in parte le alterne vicende storiche della regione di
origine. Non tutti venivano accolti nella Scuola, poiché l'appartenenza era
legata a precise condizioni, tra le quali la residenza in Venezia, o nelle sue
immediate vicinanze. Nel XVIII secolo il numero dei confratelli oscillava
attorno i 200; nel 1776 figurano 193 iscritti, di cui 31 eletti alle varie
cariche. Alla fine del XIX secolo gli iscritti erano circa 120. Nel secolo XX i
confratelli aumentarono progressivamente di numero, tranne che negli anni delle
due guerre mondiali.
Forma giuridica
La Scuola Dalmata era nata come
già riportato nel 1451, ed aveva funzionato ed operato per secoli in base al
decreto della Magistratura preposta, il Consiglio dei X, del 19.V.1451. Tale
era nel passato la sua forma giuridica. Ma gli stati, i tempi e le legislazioni
cambiano, e la Scuola, per essere tutelata e rimanere se stessa si appellò agli
accordi del Concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede ed alla legge
27/V/1929 n. 848, per cui, in base agli scopi della confraternita,
prevalentemente di culto e di beneficenza, dimostrati dalle attività e dai
legati presenti, fu decretato che: "La Confraternita denominata Scuola
Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone, con sede in Venezia, avente gli scopi
predetti, passa alle dipendenze della Autorità Ecclesiastica per quanto
riguarda il funzionamento e l'amministrazione."
Dato a Roma il 3 febbraio 1938. Registrato
alla Corte dei Conti il 14.4.1938.
L’insegna della Scuola Dalmata
Fin dall'origine il simbolo
principale della Scuola era il S. Giorgio, il santo cavaliere che a cavallo
sconfigge il drago, rappresentazione del male, e salva con la vittima
designata, la principessa, anche il popolo. L'immagine rappresentante il Santo,
riprodotta nei quadri, sugli oggetti liturgici, sui bassorilievi, sugli oggetti
più diversi di uso sacro e vario della Scuola, è stata il suo vero e proprio
stemma, usato da sempre. Nei ricami antichi cuciti su paramenti sacri,
l'immagine è inserita in uno scudo ovale incorniciato da volute, la forma
tradizionalmente usata per gli emblemi araldici degli enti od ordini religiosi.
Con l'occasione del recupero
delle cappe e del gonfalone della Scuola, si provvide ad integrare lo scudo con
il simbolo antico della Dalmazia, le tre teste di leone in campo azzurro, che
fu posto secondo le regole araldiche in basso sullo scudo, cioè in punta; ciò
stava a significare la protezione del Santo sui Confratelli e sulla Dalmazia,
come già simboleggiato dallo stesso antico nome della Scuola.
I Santi Patroni
La Scuola Dalmata, a differenza
delle altre confraternite, è sotto la protezione di tre Santi. Nello stemma è
raffigurato il solo S. Giorgio, nella denominazione sono nominati i Santi
Giorgio e Trifone, nella tradizione, a cominciare dall'indulgenza del cardinal
Bessarione, nei documenti antichi e in molte raffigurazioni e dipinti, c'è
sempre anche il terzo patrono, S. Girolamo. Questo grande santo del IV secolo,
dottore della chiesa, autore della"Vulgata" e di altre moltissime
opere sulla fede, iniziatore della cultura cristiana, nato a Stridone nella Dalmazia
romana, rappresenta la romanità e la cristianità primigenia della Dalmazia. .
S. Trifone fu scelto come
compatrono contemporaneamente a S. Giorgio, in quanto fin dal IX secolo era il
santo protettore di Cattaro, città nel sud della Dalmazia, al fondo di tre seni
di mare chiamati "Bocche di Cattaro". Gran parte dei fondatori della
Scuola, come dei confratelli di ogni epoca, provenivano dalle Bocche, e da
questo si spiega l'importanza del culto di S. Trifone. Secondo la tradizione,
riportata da racconti apocrifi, e da un codice membranaceo della Biblioteca
Marciana del 1466, Trifone era un giovinetto cristiano, pastore di oche in
Frigia nel III secolo, ove per la sua santità di vita aveva fama di operare
prodigi, soprattutto nell'esorcizzare i demoni. Secondo altre fonti era un
soldato, giovane figlio di un ufficiale romano. Fatto chiamare a Roma
dall'imperatore Gordiano, ne aveva liberato la figlia dal demonio, ed è questo
l'episodio narrato nel telero di S. Trifone del Carpaccio. In seguito, riferiscono
le fonti, rifiutata l'abiura,era stato martirizzato per ordine del governatore
romano della Bitinia, durante le persecuzioni dell'imperatore Decio. Il suo
corpo era stato conservato in Asia Minore, ma dopo l'avanzata saracena, alcuni
mercanti veneziani nell'809 l'avevano acquisito, e lo stavano trasportando a
Venezia, come era accaduto anche per altre reliquie di santi orientali. Giunta
la nave davanti alle Bocche di Cattaro, fu colta da una violenta tempesta, e
dovette rifugiarsi nel porto cittadino; lì le campane delle chiese suonarono da
sole, né la nave riusciva a scostarsi dalla riva per ripartire. Solo dopo che
il popolo, accorso al porto in tumulto, aveva convinto i mercanti veneziani a
cedere le sacre spoglie, la nave poté riprendere il viaggio, e la reliquia
venne trasportata in città, ove si iniziò subito la costruzione di una chiesa
per il Santo, e San Trifone fu eletto patrono di Cattaro. Ancora oggi la
cattedrale, di impianto romanico, restaurata nel XVII e XVIII secolo, conserva
le preziose spoglie.
S. Giorgio, il santo cavaliere fu
il primo dei Santi Patroni ad essere scelto. La sua figura rappresenta la lotta
del Cristiano contro il male, nelle sue varie accezioni; è considerato il
protettore della Cavalleria cristiana; il suo culto, trasmesso dal
cristianesimo bizantino, fu diffuso ab antiquo in Dalmazia, per secoli
nell'area culturale dell'impero di Bisanzio, e sempre esposta a minacce e ad
attacchi da parte dei popoli confinanti, dei pirati, degli Ottomani; ma oltre
ai motivi sopra esposti, la ragione principale per la scelta di questo santo è
probabilmente data dal fatto che S. Giorgio era il patrono della città di
Antivari; da questa importante città del sud della Dalmazia, poco lontana da
Scutari e da Cattaro, sede arcivescovile, prospera fino al 1571, provenivano
molti confratelli presenti a Venezia in quei primi anni della Scuola Dalmata.
Dai pochi nomi di quei secoli ritrovati negli archivi della confraternita, ne
figurano diversi con l'indicazione di Antivari quale luogo d'origine. In
quell'anno 1571, lo stesso della battaglia di Lepanto, la città, assediata, si
arrese ai Turchi, né mai più fu recuperata dai Veneziani.
Culto dei Santi Patroni, reliquie, feste
Nel culto dei santi, a
Venezia, quello di S. Giorgio è storicamente uno dei più radicati; esso si
inquadra nell'area bizantina, rientrando tra le devozioni dei santi militari,
come Teodoro e Demetrio. Il Santo cavaliere è in laguna titolare dell'abbazia
benedettina di S. Giorgio Maggiore, con la sua dipendenza di S. Giorgio in Alga,
della chiesa di S. Giorgio dei Greci, di culto ortodosso, oltre che contitolare
della Scuola Dalmata.
La
devozione a questo santo, come altrove in Italia, si sviluppò in modo
particolare nel medioevo, a seguito delle crociate, durante le quali venne assunto
quale patrono della cavalleria. A Venezia, comunque, la sua importanza non
poteva eguagliare la devozione universale a S. Marco e a S. Todaro, anche
questi santo soldato e primo patrono. Va ricordato che S. Giorgio è anche il
santo protettore di Genova.
Il culto di S. Trifone non ebbe a
Venezia particolare diffusione, tranne che nell'oratorio della Scuola Dalmata.
Esiste nel duomo di Mestre, di cui un tempo era contitolare, una sua statua,
che faceva parte di un altare a lui dedicato, scomparso con la riedificazione
della chiesa nel primo '800. In Venezia, nella chiesa di S. Maria del Giglio,
era conservato un reliquiario d'argento contenente parte delle ossa di un arto,
risalente probabilmente al XIII secolo, ora al museo diocesano. Altrove questo
Santo è più familiare, come nelle Puglie, ove il culto è ancora vivo in vari
paesi, in special modo Adelfia; in questi centri hanno luogo per la festa di S.
Trifone celebrazioni religiose e sagre; ciò è dovuto alla vicinanza con
Cattaro, che si trova dirimpetto, oltre l'Adriatico, e la cui diocesi era
legata a quella di Bari fino al 1828, un tempo meta anche di pellegrinaggi da
queste terre pugliesi per la grande devozione al Santo. Il Santo giovinetto
martire venive invocato soprattutto per esorcizzare le possessioni diaboliche.
La devozione a S. Girolamo, uno
dei quattro padri della Chiesa, è stata sempre diffusa nella cristianità,
particolarmente in quella più legata alla cultura latina. A Venezia esiste la
chiesa di S. Girolamo a Cannaregio, del XV secolo, riaperta nel 1958, dopo la
lunga chiusura dovuta alla soppressione napoleonica; poi un piccolo oratorio
dedicato al Santo dottore, compreso nel convento dei Gesuati, ed esisteva la
Scuola di S. Girolamo, unita a quella di S. Maria della Giustizia, ora Ateneo
Veneto. A Mestre la chiesa più antica, tuttora aperta al culto, è intitolata al
Santo dalmata.
Le reliquie custodite nella
Scuola sono pervenute ad essa in vari periodi. Inizialmente pare sia stato
portata l'importante reliquia di S. Trifone, costituita dalla mascella del
Santo, racchiusa in una teca di vetro cilindrica, montata su base in argento,
del XV o del XVI secolo. La reliquia di S. Giorgio è conservata in una teca di
dimensioni minori, con montatura simile alla precedente; è costituita da un piccolo
frammento osseo, ed è stata donata alla Scuola nel 1502 dal capitano Polo
Vallaresso, come più sopra spiegato. Nell'altare dell'oratorio, accanto alle
due citate, vi sono altre tre reliquie; la prima è di S. Biagio, importante
santo per la Dalmazia, protettore della città di Ragusa, che nel suo nome
costituì una Repubblica indipendente durata oltre 11 secoli, abrogata da
Napoleone nel 1808. Le altre due teche contengono le reliquie di S. Teonisto e
di S. Costanzo; oltre a queste la Scuola possiede reliquie di S. Rosalia, S.
Luigi Gonzaga, S. Vittoria.
Le feste dei Santi Patroni
cadono: il 3 febbraio per S. Trifone, il 23 aprile per S. Giorgio e il 30
settembre per S. Girolamo. Nel passato erano ricordate con solennità
particolari le prime due; con la riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano
II è stato ridotto d'importanza il culto dei Santi la cui vita terrena non è
confermata da prove e riscontri storici, e ciò, pur rimanendone consentita la
devozione, ha determinato un affievolimento per la venerazione di questi Santi,
mentre la ricorrenza di S. Girolamo viene ordinariamente commemorata.
La sede della Scuola
La prima sede della Scuola dei
Santi Giorgio e Trifone fu, come già scritto, nel fabbricato dell'Ospedale di
Santa Caterina, edificio che si vede raffigurato nella pianta di Jacopo de
Barbari, del 1500, in fondo alla fondamenta ora detta dei Furlani, che si
diparte dal piccolo campo davanti alla chiesa di S. Antonio Abate. Questa
fabbrica era fin dai tempi delle prime crociate adibita a sosta e alloggio per
i pellegrini che si recavano in Terrasanta, affrontando il viaggio per mare da
Venezia Probabilmente era già utilizzato dall'Ordine dei Templari, che lì
appresso avevano un loro priorato, e in seguito dai Cavalieri dell'Ordine di S.
Giovanni, detti poi di Rodi e quindi di Malta, che avevano acquisito il
Priorato con gli altri fabbricati in quel luogo, come altrove in Europa, dopo
la soppressione dell'Ordine del Tempio nel 1312. Nel 1360 l'Ospizio era stato
riedificato, con le stesse basi, ed è questa fabbrica che è disegnata
nell'incisione del de Barbari.
Nel 1445 parte dell'edificio
venne assegnata alla Scuola di S. Giovanni Battista dal Priore dei Giovanniti
fra Lorenzo Marcello, che poi nel 1451 concesse la rimanente e più ampia parte
alla Scuola dei SS. Giorgio e Trifone. In questa costruzione si svolse il primo
secolo di vita della Scuola, e per questi spazi furono commissionate al
Carpaccio le pitture con le storie dei Santi Patroni, e qui furono raccolte le
sacre reliquie. La dimensione dell'edificio del vecchio ospedale dovevano
essere di circa m. 19 x 12 internamente, maggiore dell'attuale fabbrica, che
misura all'interno circa m. 12 x 12, e ciò si nota anche nell'incisione del
1500, ove sono segnati 4 finestroni sulla parete che affaccia sul canale. Nel
1550 la Scuola, per le condizioni ormai precarie del vecchio edificio, e
volendo abbellire la propria sede, decise ed iniziò la ricostruzione, pur
ripartendo la spesa proporzionalmente con la Scuola di S. Giovanni Battista,
sempre coabitante in parte dell'edificio. Fu stilato un contratto con
l'architetto Giovanni De Zan (o Zon) proto dell'arsenale, per i lavori di
ricostruzione e di rinnovamento, e un altro con Pietro da Salò per la
realizzazione del bassorilievo con l'immagine di S. Giorgio che abbatte il
drago. La forma della fabbrica rimase all'incirca la stessa, se pur di
lunghezza minore, con l'altezza simile, il tetto a capanna, un'apertura in alto
sulla facciata, al centro, di forma ottagonale, le aperture realizzate con
finestroni a bifora simmetrici in facciata; ma la facciata fu rivestita
completamente con elementi in pietra bianca d'Istria, secondo il gusto della
classicità veneta, con paraste, trabeazioni,cornici, pinnacoli e finestre, con
un susseguirsi di decorazioni scultoree con simbolismi.Al centro della
facciata, tra le due cornici aggettanti marcapiano, si inserisce il
bassorilievo del S. Giorgio, incorniciato da colonne e architravi insieme ad un
bassorilievo sovrapposto raffigurante S. Giovanni e S. Caterina che presentano
alla Vergine un cavaliere inginocchiato; è quest'ultima certamente un'opera
eseguita nel XIV di stile gotico, appartenente alla costruzione trecentesca
dell'ospedale, commissionata dai Giovanniti; prova di questo è anche la
raffigurazione di S. Caterina d'Alessandria, santa venerata inizialmente in
Oriente, che con le crociate diventa protettrice dei Cavalieri dell'Ordine di
lingua italiana. I bassorilievi furono così posti per mantenere la memoria
dell'Ospedale di S. Caterina, e certamente anche in riconoscimento della
concessione fatta dai Giovanniti del luogo per la sede della Scuola Dalmata.
Dopo la fine della Repubblica,
con le soppressioni napoleoniche, la Scuola dei Dalmati rimase salvaguardata,
mantenendo le sue proprietà e la sua sede; soppressa la scuola di S. Giovanni
Battista, dopo anni di abbandono, nel 1839, i suoi locali vennero concessi alla
Scuola Dalmata, che li trasformò in sacrestia e cancelleria, prima confinate in
spazi angusti. Nello stesso periodo venne costruito sopra la facciata sul rio
un piccolo campanile a vela.
La situazione odierna della sede
della Scuola, con tutti suoi spazi interni è quella rimasta dopo le aggiunte e
gli adattamenti del XIX secolo sopra descritti, con le riparazioni ed i
restauri del XX secolo e degli ultimi anni; principalmente: il restauro del
1920, che rinforzò e sanò le murature, il tetto e il timpano della facciata, e
quello del 1971, che pose rimedio ai danni alle parti murarie provocati
dall'alluvione del 1966, e comprese la riparazione di pavimenti, mobili e
impianto elettrico, e la sistemazione delle inferriate. Inoltre, nella seconda
metà del secolo appena trascorso, furono eseguiti molti interventi minori, ma
importanti per mantenere la funzionalità e il decoro di un edificio vecchio di
oltre quattro secoli e mezzo, e sistemati i vari impianti necessari per la
sicurezza. Ultimo importante intervento eseguito, la riparazione e pulitura
accurata della facciata.
Opere d’arte
Nella Scuola Dalmata sono
conservate opere artistiche prodotte in tutti i periodi storici e artistici
attraversati nella vita secolare di questa istituzione, a cominciare dal
medioevo, fino all'epoca moderna. Tutte le opere notevoli sono segnalate e
salvaguardate dallo stato in base alle leggi per la tutela e la conservazione dei
beni artistici e culturali.
All'esterno, come dianzi esposto,
l'intera facciata è un'opera monumentale, progettata dal de Zan, ed eseguita
materialmente da lapicidi di Rovigno in Istria. I due bassorilievi, l'uno con
il S. Giorgio, e l'altro con S. Giovanni Battista, sono già sopra descritti.
Sotto il cornicione del primo piano campeggia la scritta:
"COLLABENT<E>M NIMIA VETUSTATE AEDEM DIVO GEORG[IO] DICATAM
COLLEGIUM ILLYRIORUM PIETATE ET ANIMI MAGNITUDINE INSIGNIUM SUO NITORI A
FUMDAMENTIS RESTITUIT." Più sotto, sull'architrave si legge: "DEO -
OPT - MAX - MDLI" (Con il favore di Dio Grandissimo 1551). Sulla pietra
poco sopra, in bassorilievo, due delfini in figura araldica legati per le code,
divergenti, affiancati da due bombe fiammeggianti. Nella simbologia i delfini
rappresentano coraggio e fedeltà; l'insieme della raffigurazione fa certamente
riferimento alla ininterrotta partecipazione della Scuola dei Dalmati agli
equipaggi della flotta veneziana.
Sull'architrave del finestrone a
destra del portone, la scritta "SCHOLA DE SAN ZUANE DAL TEMPIO"
mostra come da quel lato si affacciava la Scuola di S. Giovanni Battista. Sul
lato della fabbrica prospiciente il canale, un bassorilievo datato 1574 con
l'immagine del S. Giorgio in veste romana, che ricorda il lascito testamentario
a favore della Scuola di Polo di Rado, e che contrassegnava un tempo la
proprietà agricola di Arzergrande presso Piove di Sacco lasciata dal testatore.
All'interno dell'edificio sono
presenti, come opere artistiche e documentarie fisse, soffitti, decorazioni e
lapidi, e come altre opere d'arte i dipinti, fra cui i teleri del Carpaccio,
oggetti e paramenti liturgici, e quelle opere di argenteria sacra costituenti
il cosiddetto tesoro.
Sala inferiore – I cicli di
Vittore Carpaccio
Intorno alla sala, sopra un serie
di dossali in legno di noce e in radica, racchiusi da cornici e lesene dorate,
sono disposti i 9 teleri di Vittore Carpaccio, tra le più importanti opere
della pittura veneziana del primo '500. L'insieme dei dipinti è costituito dai
cicli di S. Giorgio, di S. Girolamo e di S. Trifone, e da due dipinti
cristologici, la Preghiera nell'Orto e la Vocazione di S. Matteo. I teleri
furono commissionati all'artista, assai ricercato in quel momento, che già
aveva eseguito alcuni cicli per le Scuole, come quello di S. Orsola, e furono
realizzati tra il 1502 e il 1511.
La storia di S. Giorgio è narrata
in tre grandi tele, con i momenti salienti della sua impresa, dipinte con
colori a tempera, rimasti quasi inalterati, ancora dopo tanti secoli. Il primo
telero, con il Santo Cavaliere che attacca il Dragone, è l'emblema stesso della
Scuola, ed è il più famoso dipinto al mondo che ritragga questa scena.
Cavaliere e drago sono composti in tutta l'estensione della tela, e negli spazi
dei piani sotto e dietro l'immagine del violento scontro risaltano tanti
particolari della scena dipinti con grande cura; essi fanno parte del
repertorio descrittivo dell'artista, presente sempre nelle sue opere; ma non è
solo questa la loro funzione, cioè aiutare il racconto di una fiaba antica, ma
ogni figura può avere un suo significato simbolico dal punto di vista della
fede, e spesso anche un significato allegorico.Per esempio il drago, simbolo
del male, che distrugge l'uomo, e può essere vinto solo da chi è puro; per
Venezia, nel 1502, quel drago poteva anche rappresentare la minaccia turca. Si
era appena conclusa una breve guerra contro i Turchi, vittoriosa, con la
battaglia di S. Maura, dopo una serie di sconfitte, in quell'ultimo terzo del
XV secolo. I soldati cristiani vedevano effettivamente draghi nelle guerre
turche: i grandi cannoni erano ornati con teste di drago, come raccontato da
autori musulmani, e draghi erano dipinti sugli stendardi. Altre simbologie si
evidenziano nelle figure d'intorno, come l'albero, verdeggiante dal lato del
Santo, secco dal lato rivolto verso il drago, quasi una esalazione del male,
come i poveri resti delle giovani vittime della bestia, metafora della morte
dovuta al peccato.
La seconda tela, in un'atmosfera
a mezzo tra la fiaba e i rimandi storici, illustra quanto si legge nella
Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, con il trionfo del Santo, il dragone
abbattuto e trattenuto con la cintura della principessa nella piazza della
città di Selene, contornata da monumenti che sembrano riprodurre il Santo
Sepolcro e il tempio di Gerusalemme. Nel terzo dipinto, che pure sembra
ambientato in una ideale Gerusalemme, viene rappresentata la conversione del re
dei Seleniti, della regina e della principessa salvata, insieme con il popolo,
che ricevono il battesimo da Giorgio che, dopo averli liberati dalla schiavitù
della bestia malvagia, li porta alla vera fede.
La vicenda di S. Trifone è
narrata da un solo dipinto. L'opera, forse la meno ben conservata del gruppo,
fu riportata in buone condizioni col restauro del 1946. In essa è raffigurato
il santo giovanetto che caccia il demonio, materializzatosi in forma di
basilisco, dalla figlia dell'imperatore romano Gordiano, in un ambiente
improntato alla classicità, tra logge e decorazioni rinascimentali, con sfondo
di paesaggio e di figure veneziani.
Le storie di S. Girolamo, in tre
teleri, sono anch'esse, come per S. Giorgio, tratte dalla Legenda Aurea, e
fissano tre episodi importanti nella storia di questo grande santo, dottore
della chiesa. Nel primo è descritto, in tono quasi fiabesco, l'arrivo nel
monastero di Betlemme del leone con la zampa ferita da una spina e il suo
ammansimento da parte del Santo, tra la costernazione dei monaci che fuggono, e
la tranquilla presenza di figure orientali, animali e piante esotici sparsi
nella scena; sullo sfondo fabbricati che sembrano essere ripresi dalla chiesa
dei Cavalieri e dall'antico fabbricato della Scuola stessa. Il secondo,
ambientato anch'esso in un luogo a mezzo fra il monastero di Betlemme e gli spazi
veneziani del priorato dei Gerosolimitani, rappresenta le esequie di S.
Girolamo, che si svolgono con i monaci che recitano in ginocchio l'ufficio
funebre. La serenità della morte del Santo permea le figure e le immagini;
sullo sfondo animali e persone nella vita giornaliera del monastero; si scorge
in disparte anche il leone, che era rimasto a vivere nel luogo, che muore con
un ultimo ruggito di dolore. Il terzo dipinto, opera famosissima tra le più
conosciute del Rinascimento veneziano, descrive la visione di S. Agostino;
secondo la "Legenda Aurea" e altre fonti, S. Girolamo subito dopo il
trapasso appare in forma di luce ad Agostino, che stava per scrivergli una
lettera su una importante questione teologica, e gli annuncia la sua dipartita
e la salita al cielo. L'ambiente è descritto con minuziosa perfezione, con gli
oggetti e i libri che potevano trovarsi nello studio di un umanista del
Rinascimento, e di un uomo di chiesa, e ciò si adatta perfettamente alla
personalità di S. Agostino, dottore della Chiesa e vescovo, e al personaggio
che si pensa sia stato rappresentato dal pittore nelle vesti di S. Agostino, in
quanto persona influente e benemerita della Scuola Dalmata: il cardinal
Bessarione secondo alcuni, per altri il vescovo e legato papale Angelo Leonini.
Altri due teleri completano
l'insieme, e sono di argomento cristologico, slegati apparentemente da evidenti
motivi o significati simbolici connessi strettamente alla Scuola; l'uno
rappresenta la preghiera nell'orto degli ulivi, ed è dipinto con uno stile che
si differenzia dalle altre opere carpaccesche, e che riecheggia i modi del
Mantenga; l'altro rappresenta la vocazione di S. Matteo, su uno sfondo che
ricorda qualche centro murato del veneto, con un affollarsi di figure attorno i
personaggi principali, sulle quali secondo alcuni studiosi si possono ravvisare
i volti di personaggi viventi in quel tempo a Venezia. Entrambe le tele sono
caricate in basso di uno stesso stemma, sconosciuto, che presenta la figura di
un vaso o una teca, il che potrebbe ricollegarsi con l'acquisizione alla Scuola
della reliquia di S. Giorgio.
Queste opere sono per Venezia gli
unici cicli di Vittore Carpaccio rimasti dopo tanti secoli in possesso e nella
sede dell'istituzione per cui erano stati realizzati. Nel tempo hanno subito
accomodamenti e riparazioni, ma il loro completo e definitivo restauro,
promosso dalla Soprintendenza alle Gallerie, è stato eseguito nel 1946 dal
prof. Pelliccioli, incaricato dal Ministero della Pubblica Istruzione.
Recentemente sono state restaurate
anche le antiche cornici, riportando le dorature e gli intagli alla loro
integrità.
Altre opere nella sala inferiore.
Al centro della parete di fondo
vi è l'altare con colonne di marmo nero e con trabeazione e coronamento tipici
del '600. Sopra è incastonata la pala con una Madonna col Bambino di Benedetto
Carpaccio, figlio di Vittore. Si pensa che il quadro sia stato commesso al
pittore dopo la morte del padre. Sulla parete di fronte all'altare una tela con
il Cristo risorto, con in basso il volto del donatore, di Andrea Vassilacchi
detto l'Aliense, e un S. Francesco, da attribuire alla scuola di Palma il
giovane
Il soffitto del piano terreno è
un esempio ben conservato di soffittatura della seconda metà del' 500, composta
da travi rivestiti di tavole dipinte e dorate con motivi ornamentali
dell'epoca.
La sacrestia e la Cancelleria
Attraverso la porta che si apre
sulla parete a destra della sala si entra nella sacrestia; vi si trova un
altare ligneo con una tela del 1747 come pala, rappresentante la Madonna col
Bambino e alcuni santi. Attorno, alle pareti, figurano altri dipinti eseguiti
fra il '600 e l'800, tra cui un S. Girolamo, una Madonna col Bambino dell'800,
un quadro a olio dell'800 di Lattanzio Querena, proprietà della famiglia
Bianchini d'Alberigo e custodito dalla Scuola.
Fissate alle pareti alcune lapidi
marmoree testimoniano gli avvenimenti principali che interessarono la Scuola
nel XIX e XX secolo, come l'ampliamento dei locali, i lavori di restauro, la
commemorazione di Nicolò Tommaseo, che ebbe parte importante nella effimera
Repubblica veneziana del 1849.
In sacrestia sono custoditi anche
gli oggetti d'arte del cosiddetto tesoro, che consiste semplicemente in oggetti
liturgici di antica oreficeria, che sono i seguenti: Una croce processionale,
in argento e cristallo di rocca, un finissimo lavoro veneziano della seconda
metà del XV secolo, con aggiunte del '500 e riparazioni del '700, è una delle
poche croci gotiche da confraternita rimaste a Venezia; è costituita da 5
elementi di cristallo di rocca incorniciati in un profilo d'argento arricchito
da una decorazione con foglie d'acanto e busti di angeli e di profeti, con in
alto un reliquiario sormontato dall'immagine del Padre Eterno, nel centro il
Crocefisso e al verso S. Giorgio e il drago; più in basso su bracci sporgenti
la Madonna e S. Giovanni, e sotto un nodo architettonico gotico diviso in
dodici edicolette con la Madonna e Santi.
Una "pace" in argento
sbalzato della metà del '600, con l'immagine del Cristo sorretto da un angelo,
contornato da corniciatura con sbalzi a foglie e volute, sotto in uno scudo
araldico ovale inciso il S. Giorgio a cavallo, e in basso la scritta:
"SCOLA DI S. ZORZI E TRIFON DELA NASION DALMATINA".
Un turibolo d'argento datato
1586, con incise a cesello le immagini di S. Giorgio, S. Trifone e della
Vergine. Una navicella d'argento, opera gotica veneziana della metà del XV sec,
di forma tipicamente simmetrica, con incisi sul "ponte" della piccola
nave le figure di S. Giorgio e di S. Trifone; è da notare che una identica
navicella è riprodotta nel telero di S. Agostino, sotto la mensa dell'altare di
fondo, e si può pensare che il Carpaccio copiò questo originale, allora già in
uso nella Scuola. Un calice d'argento fuso e sbalzato, veneziano del sec.
XVIII. Un secchiello d'argento per l'acqua santa del XIX secolo, dono di un
confratello Scopinich; e infine alcuni altri oggetti liturgici di minore
importanza.
Sono anche conservate, oltre ad
alcuni vetusti paramenti liturgici in uso in passato, fino a prima della
riforma liturgica, due "dalmatiche" per la messa in terzo, intessute
e ricamate con fili dorati, pregiato lavoro veneziano del XVIII secolo.
In cancelleria, l'altro locale
che anticamente faceva parte della Scuola di S. Giovanni, si conservano alcuni
dipinti minori, fra cui un Cristo risorto del '600, due antiche icone con la
Madonna e il Bambino, con copertura d'argento sbalzato, e una delle due con
corone d'argento sbalzato e pietre dure sul capo delle figure, ed applicati
orecchini dalmati e catenine d'oro, opera d'artigianato bocchese donata dal
conte Giovanni Ivanovich. Alle pareti, su pergamene incorniciate, gli elenchi
dei Guardiani Grandi della Scuola dalle origini ai giorni nostri.
La Mariegola, qui custodita, è
già stata sopra descritta.
La scala per la sala superiore
Nella scala sono disposti vari
dipinti su tela del XVII e XVIII secolo, raffiguranti soggetti della storia
sacra o santi, di cui alcuni con il ritratto del Guardian Grande committente in
abito tradizionale dalmata; tra di essi un dipinto votivo rappresentante uno
scontro navale nel golfo di Patrasso, donato dalla famiglia del confratello
Marco Ivanovich che sostenne con la sua tartana un combattimento vittorioso
contro i pirati barbareschi nel 1751.
Inserita nel muro all'inizio
della scala una testa di S. Giovanni Battista, scultura inglese del '400 in
alabastro, ed una acquasantiera di marmo del '500.
La sala superiore
Questa sala, caratterizzata dalle
decorazioni eseguite tra la fine del '500 e la metà del 600, rappresenta un
fastoso ambiente veneziano del periodo barocco, contenendo peraltro elementi e
opere pervenuteci da varie epoche, dal XV al XX secolo.
La più antica e più importante
opera d'arte del primo periodo della scuola, la metà del XV secolo, è la pala
d'altare raffigurante S. Giorgio che abbatte il drago, costituita da un'ancona
lignea intagliata e policroma, che si trova sopra l'altare di questa sala.
Originariamente l'opera era posta come centro rotondo sul soffitto della sala
al piano terra, prima della ricostruzione del 1551. In seguito ai lavori era
stata spostata dov'è ora, adattandola a pala e portandola alla forma
rettangolare con l'aggiunta di parti a contorno, lavorate ad intaglio e dipinte
come il tondo centrale, che completano l'insieme con le immagini dell'Annunciazione,
di S. Girolamo e di S. Trifone. Conservatasi nei secoli eccezionalmente bene,
nonostante il clima umido di Venezia, è stata recentemente restaurata grazie al
contributo della Cassa di Risparmio di Venezia, ed ora la sua policromia e le
dorature mostrano lo splendido aspetto originario.
L'altare è semplice, in pietra,
ma le parti superiori che incorniciano la pala sono costituite da colonne
scanalate con basi e capitelli, sormontate da un architrave sopra cui si erge
la figura di Dio, il tutto in legno scolpito e dorato, della fine del '500.
Poste a destra e a sinistra
dell'altare, si trovano due tavole a fondo oro rappresentanti S. Girolamo e S.
Trifone; sono opere attribuite alla scuola del Vivarini, che facevano parte del
primo altare della Scuola insieme ad una terza tavola con il S. Giorgio, che
però dal XIX secolo non è più stata trovata. Come paliotto, addossato in basso
all'altare, un dipinto su cuoio, dell'inizio del XVIII secolo, con un S.
Giorgio in centro, contornato da fregi e ornati barocchi. Sull'altare, un
tabernacolo aperto e composto da tre pezzi staccati ed accostabili, in legno
intagliato e dorato, del XVIII secolo, con inserite alcune reliquie e
"agnus dei" in cera.
Sopra i dossali in legno
intervallati da paraste del XVII secolo, lungo l'intero perimetro sono fissati
alle pareti dodici dipinti votivi, della prima metà del XVII secolo, di non
elevato valore artistico, ma di grande valore documentario; trattasi infatti di
opere commissionate da confratelli che in quasi tutte le tele sono effigiati a
lato della scena, alcuni indicati con il nome o con lo stemma, e alcune di esse
portano anche sullo sfondo l'immagine della città dalmata di origine dei
committenti.
A lato dell' altare un crocefisso
su base di legno, opera veneziana in bosso scolpito del '700; accanto un
"penelo" da processione con la sua asta, con il S. Giorgio dipinto su
tela ovale incorniciata, datato 1805; inoltre, a lato dell'altare, una antica
cassapanca dalmata usata per riporre i paramenti liturgici, donata dalla
famiglia Ivanovich, tre poltrone del '700 col fusto in legno intagliato e
dorato per uso cerimoniale e, innalzato sulla sua base, il Gonfalone attuale
della Scuola Dalmata con lo stemma a ricamo, realizzato nel 1992.
Accanto alla porta d'ingresso
alla sala, un'altra porta, chiusa da una pesante anta cinquecentesca conduce
all'antica saletta detta dell'albergo, trasformata nel XVII secolo in archivio,
con l'aggiunta di due grandi armadi, per la conservazione dei documenti e degli
atti della Scuola.
Altri fabbricati
La Scuola dispone di qualche
altro immobile per le sue attività: a poca distanza della sede c'è il complesso
del palazzetto Ivanovich, già sopra citato, ove trovano posto la segreteria, la
biblioteca, l'archivio–museo della Dalmazia, ed un immobile in Venezia
destinato ad uso medico, con gli ambulatori di alcuni medici specialisti.
Le attività religiose e caritatevoli
Le manifestazioni religiose che
vengono svolte nell'oratorio della Scuola Dalmata, sono in particolare le SS.
Messe per la commemorazione dei defunti della Scuola e dei benefattori, e
quelle per le feste dei Santi protettori; indi la partecipazione alle feste
solenni della Chiesa Veneziana, unitamente alle altre scuole, come il Corpus
Domini, con la tradizionale processione, le ricorrenze della Madonna della
Salute, di S. Marco, del Redentore, di S. Pietro, e l'Ascensione (la Sensa),
festa insieme religiosa e civile, con la quale vengono rievocati gli antichi
legami e la secolare partecipazione della Dalmazia alla storia di Venezia;
inoltre c'è la partecipazione a feste religiose per invito o in coordinamento
con le altre scuole. Le opere di carità fanno parte dell'attività ordinaria,
come stabilito da sempre dagli statuti, nei confronti di indigenti dalmati o
veneziani, ed a vantaggio delle mense dei poveri gestite dalla chiesa, a
Venezia e a Mestre; vengono anche praticate per scopi particolari o in
occasione di festività, a volte attraverso la Curia. Occasionalmente per casi
che si presentano, vengono inviati aiuti anche altrove, come è stato fatto per
il restauro di un ospizio in Dalmazia, o per qualche aiuto ai terremotati in un
paese del vicino oriente. Infine, si destinano annualmente contributi per
tutelare e curare tombe in alcuni cimiteri in Dalmazia, che non possono più essere
mantenute dalle famiglie, estinte o disperse.
Attività di conservazione e culturali
Questa Scuola è l'unica, fra le
piccole, dopo le vicissitudini della storia e del periodo rivoluzionario e
napoleonico, ad essere sopravissuta e ad aver conservato in gran parte il
proprio patrimonio di arte e di cultura. Il valore artistico e documentario
delle opere precedentemente descritte, ancora presenti nel luogo originario, è
notevolmente elevato; per conservare a Venezia e alla fruizione di tutte le
persone questi beni preziosi la Scuola Dalmata da molto tempo funziona anche
come museo, pur senza tralasciare le sue prerogative di confraternita. Questo
comporta una diligente amministrazione ed una attenta tutela, giorno per
giorno, per consentire la buona manutenzione, le visite, gli studi. I restauri,
a volte con l'aiuto di enti pubblici o privati, interessano a turno questi beni
artistici e culturali, dai più importanti dipinti alle opere minori,
dall'intero edificio ai documenti antichi. La consistente biblioteca
specializzata sulla Dalmazia, in via di catalogazione, è custodita nel vicino
edificio Ivanovich In questa sorta di archivio-museo, si raccolgono, oltre a
libri di edizioni vecchie e nuove, oggetti, cimeli, stampe, ritratti, che
riguardano la Dalmazia e i suoi rapporti con Venezia, con l'intento di
assicurarne la conservazione, permettendo in tal modo di avere a disposizione
una documentazione, altrimenti difficilmente reperibile, sulla storia e sulla
cultura della Dalmazia, antica parte dello stato e della civiltà veneziana.
Come attività culturale
specifica, si possono indicare:
-
La
partecipazione occasionale a mostre e convegni, e la loro promozione
-
L'attività
editoriale per pubblicazioni di argomento artistico, storico o religioso in
connessione con la Dalmazia.
-
La
pubblicazione di una rivista semestrale che riporta articoli studi sugli stessi
argomenti, o attinenti la Scuola o le Confraternite.
-
L'apertura
alla consultazione delle raccolte a studiosi e studenti, italiani e stranieri,
per consentire le indagini necessarie a studi specialistici e a tesi di laurea.
Note bibliografiche:
Pallucchini – Perocco, Carpaccio in S.Giorgio degli Schiavoni, Rizzoli, Milano 1961.
Perocco Guido, Carpaccio
nella Scuola di S. Giorgio degli Schiavoni, Ed. Ferdinando Ongania, Venezia
1964.
Articoli su vari numeri della rivista "Scuola
Dalmata dei SS. Giorgio e Trifone", stampata dal 1966.
Gentili Augusto,
Le storie di Carpaccio, Ed. Marsilio, Venezia 1996.